Descrizione
E' stato Sindaco di Brescia dal 28 luglio 1975 al 1980, poi dal 20 ottobre 1980 al maggio 1985 con un intervallo dal 27 luglio al 7 novembre 1983 contrassegnato dalle sue dimissioni a seguito di una crisi politica in Loggia.
Figlio dell'avvocato Andrea (esponente del movimento cattolico e della resistenza antifascista bresciana, morto nel campo di concentramento di Gusen in Austria il 24 gennaio 1945) e di Vittoria De Toni, a lungo direttrice della rivista "Madre", Cesare Trebeschi si è laureato in Giurisprudenza all'Università Cattolica di Milano nel 1949. Sposato con Sofia Rovetta, ha avuto sei figli: Andrea, Vittoria, Antonio, Lodovica, Franco e Giovanni.
Avvocato, giureconsulto e storico del diritto, ha raggiunto professionalmente fama nazionale come esperto di diritto agrario: molti suoi contributi sulla materia sono stati pubblicati sulla "Rivista di Diritto Agrario", sulla "Rivista di economia Agraria" e poi "Il Montanaro d'Italia" e i "Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei".
Fedele alla lezione familiare, non s'è sottratto all'impegno civile, politico e culturale durante e subito dopo la guerra, a cominciare dall'attività come co-fondatore della rivista "La Fionda" nel 1946. Pur non avendo mai avuto tessera di alcun partito è stato a lungo amministratore pubblico. In particolare ha retto l'incarico di sindaco del Comune di Cellatica dal 1951 al 1960.
Eletto da indipendente nelle liste della Democrazia cristiana, è stato assessore provinciale all'Agricoltura dal 1961 al 1964, poi consigliere provinciale dal 1964 al 1970. Da assessore ha promosso, in particolare, la nascita dei Cata – Centri di assistenza tecnico agricola, che hanno avuto parte decisiva nell'ammodernamento dell'agricoltura bresciana, specie nei territori montani.
Dal 1971 al 1974 è stato presidente della Commissione amministratrice dell'Azienda servizi municipalizzati, nel periodo che ha visto, fra l'altro, il varo del teleriscaldamento (inteso come grande infrastruttura urbana votata alla razionalizzazione dei consumi energetici, all'abbattimento delle emissioni, all'efficientamento del sistema di riscaldamento delle abitazioni) e l'uscita dell'attività dell'Azienda dai confini municipali per assumere la gestione di servizi in alcuni comuni dell'hinterland e della provincia (Ovest Bresciano e Valle Sabbia). Entrambe queste iniziative sono state premesse indispensabili per lo sviluppo successivo conosciuto dall'azienda del Comune di Brescia.
Trebeschi è stato sindaco di Brescia dal 1975 al 1985, succedendo a Bruno Boni che aveva guidato l'Amministrazione comunale dal 1948 al 1975. Nel primo quinquennio Trebeschi ha guidato le giunte delle "larghe intese" con il Pci, stagione che ha visto il varo del nuovo Piano regolatore, la nascita di San Polo, l'approvazione del progetto del museo di Santa Giulia, la nascita delle Circoscrizioni. Il secondo quinquennio ha visto la nascita dell'Università degli Studi di Brescia.
Socio effettivo dell'Ateneo di scienze lettere e arti dal 10 settembre del 1979, ha presieduto l'Ateneo dal 1994 al 2000 e successivamente è stato membro del Consiglio di presidenza della medesima istituzione culturale. È stato presidente del Comitato provinciale dell'Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra.
Suoi contributi e memorie personali compaiono in libri che ricordano figure del cattolicesimo bresciano, da don Giacomo Vender a mons. Luigi Daffini, da Paolo VI a mons. Carlo Manziana a Lodovico Montini.
Una meditazione sull'esperienza amministrativa, intrecciata a una riflessione sugli Atti degli apostoli, è racchiusa nel volume Mattutino di un sindaco (1985). Il ruolo del cristiano in politica, e nella vita pubblica della città, è affrontato nel libro Apologia del mugugno (Brescia 1988). A una trama intessuta di vicende familiari e valori civili fa riferimento un altro suo libro, Il primo incontro (2003). All'esperienza professionale, e a una meditazione evangelica, rimanda infine un altro suo testo, Storia e leggenda del buon ladrone patrono degli avvocati (2004) ristampata nel 2008 con una prefazione del giudice della Corte Costituzionale Giuseppe Frigo.